Sanità e informazione – Implantologia dentale, ne parliamo con il dottor Giacomo Capaldi Gagliardi
Oggi parleremo di un tema centrale per chi deve affrontare un intervento di implantologia orale o dentale. Chi meglio del dr. Giacomo Capaldi Gagliardi, con più di trentatré anni di esperienza documentabili in tale disciplina, può guidarci in questo percorso.
Dottor Capaldi, oggi sentiamo parlare spesso di implantologia orale a carico immediato, ci può dire di che cosa si tratta e che differenza c’è con quella a carico differito?
Grazie innanzitutto per avermi dato la parola. L’implantologia a carico immediato è una tecnica che permette la riabilitazione immediata, funzionale ed estetica della masticazione del paziente. Nella maggior parte dei casi consente al paziente di uscire dallo studio dentistico lo stesso giorno dell’intervento con denti fissi sugli impianti appena posizionati.
La sua metodica attualmente si basa su due tecniche comunemente usate, note come all on four e all on six.
Letteralmente, significano “tutto su quattro” e “tutto su sei” impianti, in grado entrambe di ripristinare una intera arcata dentale.
L’implantologia a carico differito, tecnica da me utilizzata da oltre trent’anni con buoni risultati ottenuti sia dal punto di vista funzionale che estetico, a differenza della precedente, prevede un periodo di attesa tra l’inserimento dell’impianto e la sua applicazione. Di solito si attendono tre mesi per l’arcata mandibolare inferiore e sei mesi per l’arcata mascellare superiore. Questa differenza di attesa è data dal fatto che l’osso mascellare è tipicamente più spugnoso rispetto a quello mandibolare che è, invece, più compatto.
In questo periodo di attesa sia l’osso mandibolare che mascellare, attraverso un processo biologico, noto come osteointegrazione, si integrano con l’impianto creando un legame diretto e stabile.
Concludo asserendo che prima di sottoporsi ad un trattamento di implantologia, sia essa a carico immediato che differito, il paziente dovrà necessariamente eseguire esami radiografici quali: OPT (Ortopantomografia delle arcate dentarie), una TAC e, in particolare, quella Cone Beam 3D in quanto offre immagini dettagliate dell’osso e delle aree circostanti (nervo alveolare e seno mascellare), esami di laboratorio specifici, oltre ad una approfondita valutazione diagnostica da parte del professionista.
Dottor Capaldi, ci sono delle controindicazioni all’implantologia?
Certamente sì, esse infatti vengono classificate in letteratura scientifica in Assolute e Relative.
Tra le controindicazioni Assolute rientrano le condizioni mediche gravi, come le malattie che compromettono il sistema immunitario, le patologie cardiovascolari non gestite, diabete scompensato non controllato, patologie neurologiche o psichiatriche, chemioterapia in corso, gravi malattie sistemiche, come l’insufficienza epatica e renale.
Mentre le controindicazioni Relative rappresentano condizioni che possono aumentare il rischio di insuccesso dell’impianto, ma nello stesso tempo possono essere gestite attraverso un approccio multidisciplinare. Tra queste, oltre alle malattie parodontali e all’incapacità di alcuni soggetti di mantenere un’igiene orale adeguata, cito la terapia con bifosfonati. Questi farmaci, oltre ad essere utilizzati per la prevenzione di metastasi ossee in pazienti oncologici, vengono impiegati principalmente per la cura dell’osteoporosi e possono interferire con la guarigione ossea, nonché aumentare il rischio di necrosi ossea, ossia la morte del tessuto osseo dovuta ad un insufficiente apporto di sangue e ossigeno.
C’è stato un momento in cui lei ha dovuto dire al paziente che non è possibile eseguire un impianto?
Assolutamente sì. La capacità di discernere e razionalizzare le richieste del paziente è ancora più importante delle mie competenze chirurgiche. Davanti alla mancanza di osso sufficiente per poter eseguire impianti, laddove neppure la rigenerazione ossea mi avrebbe consentito di risolvere il problema, o davanti a richieste di aspettative irrealistiche da parte del paziente, ho sempre ritenuto opportuno, in questi casi, non procedere.
Tuttavia oggi, ci sono soluzioni più innovative che ci permettono di soddisfare le richieste di molti pazienti, soprattutto quando l’osso mascellare superiore è insufficiente a sostenere gli impianti tradizionali. Queste soluzioni sono date dagli impianti zigomatici, pterigoidei e basali. Questi ultimi vengono inseriti più in profondità nell’arcata dove si trova l’osso corticale.
Dottor Capaldi, quanto durano gli impianti?
Questa è una classica domanda che mi pongono spesso ai quali rispondo che la durata degli impianti dipende da fattori individuali, come la salute ossea, le abitudini personali e lo stile di vita, oltre ad una corretta igiene orale e controlli professionali annuali presso il proprio dentista di fiducia. Se si ha la costanza di rispettare questi due ultimi fattori, essi possono durare dai 10 ai 15 anni o anche più. Io personalmente posso asserire, a gran voce ed esserne fiero, che molti miei pazienti, che oggi ancora vedo, hanno impianti in buona salute dopo oltre 30 anni.
Dai dati emersi sulla salute del cavo orale, risulta che nel 2024 sono stati inseriti in Italia circa 2,2 milioni di impianti con un incremento del 20% rispetto al 2019 con una spesa complessiva stimata di 2,3 miliardi di euro. Non pensa dr. Capaldi che questi dati certifichino una sconfitta della prevenzione?
Certamente. A mio parere, ci sono due fattori da considerare che determinano ciò. Il primo è che la prevenzione in Italia, purtroppo, è ancora un lusso o una difficoltà per molte fasce sociali di popolazione. Il secondo fattore deve essere attribuito agli stati iniziali della malattia parodontale, i quali spesso non vengono diagnosticati. Mi spiego meglio. Basta considerare, sempre dai dati emersi, che in Italia circa il 60% della popolazione adulta soffre di malattia parodontale e di questi il 10-15% perde gli elementi dentali, ciò significa che c’è una grande fetta di popolazione con parodontite non diagnosticata che arriva dal suo dentista di fiducia quando la situazione è già grave. Detto ciò mi auguro che nei prossimi anni venga attuata dagli enti preposti una maggiore attenzione sulla prevenzione della malattia parodontale con l’obiettivo di mantenere sani i tessuti di sostegno del dente; se ciò dovesse realmente verificarsi, sono certo che in Italia avremmo un numero più contenuto di impianti inseriti.
Una sua considerazione sull’ implantologia digitale?
La considero uno strumento in più, ma secondario rispetto alla diagnosi e all’atteggiamento etico e non certo sostitutiva delle competenze del professionista. Se la pianificazione digitale è utile in un caso clinico, ben venga, ma non deve mai e poi mai sostituire il ragionamento clinico.
Ringraziandola del suo contributo a questo tema di fondamentale importanza, dr. Capaldi le pongo l’ultima domanda, è vero che oggi parecchi suoi colleghi, si limitano a scannerizzare, inviare la scansione a un service e ricevere una dima chirurgica per inserire l’impianto anche senza essere un vero implantologo?
Oggi purtroppo questo rischio esiste. Io personalmente fino a quando inserirò il mio ultimo impianto, preferisco vedere cosa sto realizzando.



